Come suggerisce la definizione, alla base del licenziamento per scarso rendimento c’è una prestazione lavorativa che difetta sia in termini qualitativi che quantitativi.

Il licenziamento per scarso rendimento è stato oggetto di numerosi dibattiti e confronti politici, ma non è mai stato regolamentato dalla legge; nemmeno il Jobs Act lo ha disciplinato.

Dunque, in assenza di una normativa ad hoc, sono sia la dottrina che la giurisprudenza a definire le linee del licenziamento per scarso rendimento che, all’atto pratico, trova difficile applicazione, proprio perché è arduo definire i parametri di riferimento che possano definire insufficiente la prestazione lavorativa.

La giurisprudenza ha ricondotto il licenziamento per scarso rendimento talvolta al licenziamento disciplinare e talvolta al motivo oggettivo.

Nel primo caso, il datore contesta che la prestazione lavorativa è scarsa per colpa o negligenza del lavoratore e gli addebita – tramite lettera di contestazione – errori, imprecisioni, ritardi e tutte le singole condotte che possono giustificare lo scarso rendimento.

Si tratta, comunque, di una situazione dal confine piuttosto labile con l’oggettiva incapacità del lavoratore e, quindi, non imputabile alla colpa del lavoratore: in questo caso, il licenziamento sarà per motivo oggettivo.
Cioè, il lavoratore viene considerato incapace per le mansioni a cui è adibito per le ragioni più varie: non riesce ad adeguarsi alla rinnovata struttura organizzativa, alle nuove tecnologie o non è più in grado di svolgere correttamente le sue mansioni, per colpa o del proprio fisico (ad esempio, ha subito un infortunio) o della propria mente.

Ad ogni modo, il datore di lavoro, prima di licenziare il lavoratore ritenuto oggettivamente incapace, deve essersi attivato per rimuovere gli ostacoli che rendevano insufficiente la prestazione lavorativa e deve aver cercato di adibirlo mansioni alternative (anche inferiori).

avvocato lavoro Imperia Sanremo – studio legale