Nell’evolversi del quadro dei diritti dei lavoratori, l’assenza giustificata per malattia è stata sicuramente una delle principali conquiste.
Il nostro ordinamento tutela il lavoratore che si trovi nei casi di malattia, infortunio, gravidanza e puerperio: in queste circostanze, il rapporto di lavoro è sospeso e al prestatore spetta una retribuzione o indennità stabilita dalla legge (art. 2110 codice civile).
Tuttavia, questa tutela non si protende all’infinito, ma fino a che non si supera un intervallo di tempo, il periodo di comporto, di durata variabile a seconda del CCNL applicabile, il quale deve stabilire anche se il computo debba essere secco o per sommatoria.
Una volta superato il periodo di comporto, ai sensi dell’art. 2110 c.c., comma 2, il datore può recedere dal contratto di lavoro.
Di recente, la Riforma Fornero aveva stabilito che il licenziamento per superamento del periodo di comporto fosse da far rientrare nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo, interpretazione non accolta dall’art. 7, comma 4, del D.L. n. 76/2013 secondo il quale, quindi, non c’è bisogno di esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione previsto per i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo nelle imprese con più di quindici dipendenti.
Da ultimo, il Jobs Act (valevole solo per i neo assunti) elenca tassativamente le ipotesi di nullità del licenziamento e, fra queste, non rientra il licenziamento per superamento del periodo di comporto: se ne deduce, quindi, che il licenziamento per superamento del periodo di comporto sia qualificabile come illegittimo e dia diritto al lavoratore solo a un’indennità e non anche al reintegro.
avvocato lavoro Imperia Sanremo – studio legale